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Rifiuto del part time e licenziamento

Sul tema del rifiuto del part time e licenziamento il nostro ordinamento ha introdotto una precisa previsione normativa: l’art. 8, c. 1, del d.lgs. 81/15 prevede espressamente che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale o viceversa non può rappresentare un giustificato motivo di licenziamento. 

Sulla carta, quindi, il tema appare di facile soluzione ma, nei fatti e nei tribunali, le cose possono cambiare radicalmente. 

Si può essere licenziati per aver rifiutato il part time?

Un’ordinanza della Suprema corte di cassazione, la n. 12244 del 9 maggio 2023, ha precisato che la norma non va considerata in maniera rigida, come una previsione che impedisce sempre e comunque di porre il rifiuto del part-time alla base di un recesso per giustificato motivo oggettivo. Più correttamente, secondo i giudici di legittimità, si tratta di una previsione che – testualmente – «comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere della prova posta a carico di parte datoriale».
In concreto, ciò vuol dire che il datore di lavoro che licenzia un dipendente che si è rifiutato di ridurre il proprio orario di lavoro, trasformando il contratto da tempo pieno a tempo parziale, per rendere il suo recesso legittimo deve dimostrare che sussistono delle esigenze economiche e organizzative effettive incompatibili con una prestazione full-time e che consentano esclusivamente il mantenimento di una prestazione part-time. Non solo: la parte datoriale deve inoltre provare di aver proposto la trasformazione del rapporto e di aver ottenuto un rifiuto da parte del lavoratore e che il licenziamento è causalmente collegato alle esigenze di riduzione di orario.
Ecco quindi come può rendersi compatibile l’intimazione di un licenziamento per rifiuto del part time con la previsione di cui all’articolo 8, comma 1, del sopra richiamato decreto 81: la norma non introduce un divieto di licenziamento assoluto.

In presenza di un simile rifiuto, in altre parole, quest’ultimo diventa «una componente del più ampio onere della prova» gravante sul datore di lavoro che ha intimato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo per difficoltà economiche e organizzative.
Nonostante tutto ciò, come precisato dalla stessa Corte di cassazione, non è comunque possibile escludere che il licenziamento rappresenti nei fatti una ritorsione rispetto al rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro con riduzione d’orario. In tal caso il licenziamento è nullo, ma la nullità deve essere suffragata dalla prova – a carico del lavoratore e possibile anche con il ricorso a presunzioni – che l’intento ritorsivo abbia avuto efficacia determinante esclusiva del recesso, anche rispetto ad altri elementi che possono risultare rilevanti per configurare una giusta causa o un giustificato motivo.

Andrea Mannino avvocato del lavoro dirittilavoro

Mi chiamo Andrea Mannino e sono un avvocato specializzato in Diritto del Lavoro.

Rivolgiti a me per qualunque problema legato alla sfera lavorativa.

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