Si segnala un’interessante sentenza del Tribunale di Milano (Trib. Milano, 7 luglio 2016) in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo con indicazione generica dei motivi nell’ambito della tutela obbligatoria.
In sostanza il giudice in tale sentenza ha ritenuto che il licenziamento che riporti il mero richiamo generico alla disposizione legislativa (art. 3 legge 604/1966) senza un’indicazione precisa dei motivi che hanno determinato il recesso sia da considerarsi inefficace. La conseguenza che ne deriva è che il licenziamento risulta totalmente improduttivo di effetti e comporta la permanenza del rapporto di lavoro: quest’ultimo, conseguentemente, si considera non interrotto ed il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni medio tempore maturate e non corrisposte.
La giurisprudenza di merito si è pronunciata più volte sull’obbligo datoriale di esplicitare con specificità la motivazione del licenziamento ex all’art. 2, comma 2 della legge 604/66 e ha precisato che, perché tale condizione sia attuata, si richiede che l’indicazione dei motivi sia idonea a realizzare il risultato perseguito dalla legge, costituito dalla conoscenza, da parte del lavoratore, delle ragioni sottese al provvedimento; a tale scopo, è necessario che la motivazione individui tali fatti con sufficiente precisione, anche se sinteticamente, per modo che risulti senza incertezza l’ambito delle questioni sottese al licenziamento.
I motivi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono essere esplicitati: non basta citare la grave crisi di mercato
Il Tribunale di Roma nella sentenza n. 8365-2014 Est. dott.Masi ha ritenuto che tale risultato non poteva ritenersi realizzato quando la comunicazione di licenziamento conteneva un generico riferimento ad “una radicale riorganizzazione degli assetti interni” non meglio precisata ed alla “grave crisi di mercato”, che avrebbe reso necessario il riassetto, senza in alcun modo esplicitare in cosa sia consistita la radicale riorganizzazione – e, quindi, quali risorse avrebbe interessato, e con quali modalità e tempi – né come abbia inciso la crisi menzionata sugli assetti economici aziendali, e neppure, infine, quale sia stato il nesso causale esistente tra tale processo di riorganizzazione ed il venir meno della posizione ricoperta dal lavoratore.
Ne è conseguita la declaratoria di inefficacia del licenziamento, atteso che la previsione di inefficacia – già contenuta nella vecchia formulazione dell’art. 2 L. 604/66 in caso di omessa comunicazione ed applicata nell’interpretazione giurisprudenziale anche alla motivazione generica, in quanto ritenuta equivalente alla mancata motivazione – è stata riaffermata indistintamente nella novella per tutti i casi di violazione dell’art. 2, come modificato dalla legge 92/2012, per omessa o insufficiente motivazione.
Più recentemente, anche il Tribunale di Milano (sentenza del 7 luglio 2016, Giudice Dott.ssa De Carlo) in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo con indicazione generica dei motivi nell’ambito della tutela obbligatoria ha ritenuto che il licenziamento senza un’indicazione precisa dei motivi che hanno determinato il recesso sia da considerarsi inefficace.
Giova ricordare che secondo il consolidato orientamento di legittimità, susseguente alla nota pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 506 del 27 luglio 1999, nei rapporti sottratti al regime di tutela reale il licenziamento inefficace in quanto affetto da uno dei vizi formali di cui all’art. 2 della legge n. 604 del 1966 non produce effetti sulla continuità del rapporto e, pertanto, se, da un lato, non può ritenersi applicabile la disciplina prevista dall’art. 8 della stessa legge per la diversa ipotesi di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, dall’altro, vertendosi in tema di prestazioni corrispettive, l’inidoneità del licenziamento ad incidere sulla continuità del rapporto di lavoro non comporta il diritto del lavoratore alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento inefficace, bensì solo al risarcimento del danno da determinarsi secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni.
Inoltre, come noto, l’onere della prova circa l’esistenza delle ragioni economiche e organizzative sottese al licenziamento è posta dall’ordinamento a carico del datore di lavoro.
Tale onere implica anche l’obbligo di quest’ultimo di dar conto delle verifiche effettuate all’interno dell’azienda volte a valutare la possibilità di ricollocare il dipendente, eventualmente anche in mansioni inferiori, al fine di evitare la risoluzione del rapporto di lavoro (c.d. obbligo di repêchage).
Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione in tema di obbligo di repêchage e relativo onere probatorio (n. 5592/16) ha precisato che questo grava per intero ed esclusivamente sul datore di lavoro: quindi, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare in giudizio, oltre che l’effettiva sussistenza della riorganizzazione e del suo nesso causale con il posto di lavoro occupato dal dipendente licenziato, altresì l’impossibilità di adibire quest’ultimo ad mansioni diverse purché rientranti nel medesimo livello di inquadramento nonché nel livello inferiore (Cass. n. 5592/2016).

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