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Licenziamento collettivo: individuazione dei lavoratori limitato solo alle unità interessate o al complesso aziendale?

Ferma la regola generale di cui al primo comma dell’art. 5, L. n. 223 del 1991, secondo cui nell’ambito del licenziamento collettivo l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire avuto riguardo al complesso aziendale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale, purché il datore indichi nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti, con la conseguenza che qualora nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali.

Cass. Sez. Lav., 17 gennaio 2022, n. 1243

La fattispecie oggetto dell’ordinanza in commento riguarda il licenziamento di un lavoratore nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo ex L. 223/1991, ritenuto illegittimo sia in primo grado che dalla Corte d’Appello di Napoli. In particolare, la Corte distrettuale ha ritenuto illegittimo il licenziamento in considerazione della immotivata limitazione della platea dei dipendenti a talune sedi aziendali, anche a fronte di un progetto di ristrutturazione che ricomprendeva l’intero complesso aziendale.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso la società datrice di lavoro, sostenendo, per quel che qui interessa, con il primo motivo che non sia necessario comparare i dipendenti di tutto il complesso aziendale quando tale ipotesi risulti oggettivamente incompatibile, nell’ambito del licenziamento collettivo, con le esigenze aziendali per ragioni geografiche, e che la determinazione dell’ambito del licenziamento collettivo dovrebbe essere rimessa unicamente alla scelta del datore di lavoro ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, in virtù del fondamentale principio di libertà di iniziativa economica dettato dall’art. 41 Cost. Con il secondo motivo, la società ricorrente denuncia l’erronea applicazione della tutela reintegratoria, posto che l’esubero del lavoratore in questione sussisteva e dovendo dunque trovare applicazione la tutela indennitaria per violazione formale della procedura. Innanzitutto la Corte di Cassazione, rigetta il primo motivo di ricorso soffermandosi sui consolidati principi sanciti dalla giurisprudenza in materia di licenziamento collettivo e delimitazione della platea di lavoratori in cui operare la comparazione per l’applicazione dei criteri di scelta. Nello specifico, osserva la Suprema Corte, è possibile limitare la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale allorquando

  • vi siano oggettive esigenze tecniche produttive
  • il datore indichi nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, tali esigenze e le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine

È infatti onere del datore di lavoro, prosegue la Corte di Cassazione, provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata, ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi.La Suprema Corte, ribadisce altresì il principio per cui, «in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo». Infatti, non rientra tra i criteri di scelta sanciti dall’art. 5, L. 223/1991 la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale, in ragione della ratio della normativa: assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile. Correttamente, la Corte d’Appello di Napoli ha applicato tali principi.

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