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La reperibilità è orario di lavoro?

Il periodo di tempo in cui, al di fuori del suo orario di lavoro, il dipendente rimane reperibile e contattabile per eventuali richieste di svolgimento della prestazione lavorativa, costituisce orario di lavoro?

Tale quesito non trova risposta nella legge, poiché né la Direttiva europea sull’orario di lavoro né la disciplina interna di attuazione della stessa, prevedono una definizione o una disciplina dell’istituto della reperibilità.

Una risposta, invece, la ritroviamo nell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale, in diverse sentenze, ha individuato i criteri che consentono di distinguere quando un periodo di reperibilità costituisce orario di lavoro; a tale orientamento si è uniformata anche la Corte di Cassazione italiana.

La definizione di orario di lavoro contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. a), d. lgs. n. 66/2003 è la seguente: è orario di lavoro

qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Tre sono, quindi, i requisiti necessari per la qualificazione dell’orario di lavoro: 

  1.  essere al lavoro ovvero nel luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro; 
  2. essere a disposizione del datore di lavoro; 
  3. esercitare la propria attività lavorativa o le proprie funzioni.

Se ricorrono tutti e tre tali elementi, sicuramente si rientra nella nozione di orario di lavoro.

Il periodo di reperibilità ricorre quando:

il lavoratore non è obbligato a restare in attesa in un luogo indicato dal datore di lavoro, ma basta ch’egli sia raggiungibile in qualunque momento per poter svolgere in breve tempo i suoi compiti professionali su chiamata.

Ad esempio, nel caso del medico di guardia all’interno delle strutture ospedaliere, la Corte di Giustizia ha ritenuto che ricorressero due degli elementi qualificatori dell’orario di lavoro, ovvero 

  1. essere nel luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro; 
  2. essere a disposizione del datore di lavoro.

La presenza di entrambi tali elementi, anche senza una effettiva prestazione lavorativa ed anche se nei periodi di guardia sia consentito ai medici di riposarsi in assenza di chiamata, comporta che tale periodo rientri nella nozione di orario di lavoro.

Più di recente, la Corte di Giustizia si è trovata a giudicare se rientri o meno nella nozione di orario di lavoro la fattispecie più complessa del periodo di reperibilità (e non di guardia) ovvero del periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro ma in un luogo di sua scelta. In tal caso, rispetto alla nozione di orario di lavoro, è presente solo l’elemento qualificatorio dell’essere «a disposizione del datore di lavoro», ma in un luogo scelto dal lavoratore, il quale viene chiamato a svolgere la prestazione lavorativa solo occasionalmente.

La fattispecie esaminata nella causa C-344/19 risponde proprio alla domanda se la reperibilità è orario di lavoro: un tecnico specializzato che lavora in centri di trasmissione sloveni, il quale, dopo l’orario di lavoro, rimane, per sei ore al giorno, in regime di reperibilità. In tale periodo, il lavoratore può lasciare il centro di trasmissione, ma deve essere raggiungibile per telefono e, se necessario, ritornare sul luogo di lavoro entro il termine di un’ora.

Cosa differenzia la reperibilità dall’orario di lavoro?

Per rispondere al quesito posto dai giudici nazionali, la Corte di Giustizia richiama i propri precedenti ed i principî ivi espressi, decidendo che un periodo di reperibilità, pur non imponendo al lavoratore, a differenza del periodo di guardia, di restare sul luogo di lavoro, deve essere qualificato nella sua interezza come orario di lavoro, soltanto qualora i vincoli imposti al lavoratore siano di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà per questi di gestire liberamente, nel corso del periodo in questione, il tempo in cui non lavora e di dedicarsi ai propri interessi personali. Per contro, qualora i vincoli imposti al lavoratore nel corso di un periodo di reperibilità non siano così intensi e gli permettano di gestire il proprio tempo e di dedicarsi ai propri interessi senza limitazioni significative, sarà considerato come orario di lavoro soltanto il tempo in cui venga effettivamente svolta la prestazione lavorativa nel corso di tale periodo.

Alla luce di tali principî, il Giudice nazionale dovrà valutare se ricorrano i presupposti per considerare sussistente un orario di lavoro sulla base di un accertamento in fatto dei seguenti elementi:

a) La brevità del termine entro cui il lavoratore deve, in caso di intervento necessario raggiungere il luogo di lavoro ove svolgere la prestazione lavorativa: tanto più breve è tale termine, considerate tutte le circostanze, quanto è più probabile che si tratti di orario di lavoro. Sulla scorta di tale importante elemento è stato considerato orario di lavoro il periodo di reperibilità di un vigile del fuoco belga che durante tale periodo aveva l’obbligo di raggiungere il luogo di lavoro entro otto minuti.

b) La frequenza media delle prestazioni di lavoro che vengono effettivamente svolte durante i periodi di reperibilità: tanto più alta è la media quanto è più probabile che si tratti di orario di lavoro.

Insomma, la risposta alla domanda: la reperibilità è orario di lavoro? Non può che essere: dipende!

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