Rifiuto di prestare la propria attività lavorativa nei festivi: non può essere causa di licenziamento
Il rifiuto del lavoratore di prestare la propria attività lavorativa in un giorno festivo, secondo la corte di cassazione, non può essere un valido motivo di licenziamento.
Con la sentenza n. 18887 del 15 luglio 2019, la suprema corte ha affrontato il caso di un dipendente che, disattendendo un ordine del datore di lavoro, si è rifiutato di prestare la propria attività lavorativa il primo maggio.
A parere della corte, in occasione delle festività infrasettimanali (civili o religiose) sussiste un diritto soggettivo del lavoratore di astenersi dallo svolgimento della propria prestazione lavorativa. Tale diritto non può essere posto nel nulla, secondo la corte, in forza di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, essendo la rinuncia al riposo nelle festività infrasettimanali esclusivamente rimessa all’accordo tra datore di lavoro e lavoratore o ad accordi sindacali stipulati da organizzazioni sindacali cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato.
Insomma, si tratta di una importante posizione perché, in linea generale, il potere direttivo del datore di lavoro si può anche manifestare tramite lo stabilire i turni e i giorni di lavoro.
Tale potere, però, con la sentenza in commento, è contenuto nell’ipotesi di festività infrasettimanali, casi in cui, come si è detto, esiste il diritto di rifiuto di prestare la propria attività lavorativa del lavoratore.