Il contratto di lavoro diverge della lettera di impegno all’assunzione, cosa fare?
Come noto, a norma dell’articolo 1337 del c.c. (rubricato “Trattative e responsabilità precontrattuale”)
“Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede“. Si tratta di buona fede oggettiva che impone alle parti di comportarsi correttamente sotto il profilo della lealtà e della tutela degli interessi dell’altra parte per non incorrere in comportamenti, dolosi o colposi, lesivi della libertà negoziale altrui, identificandosi soprattutto “nel dovere di cooperazione e di informazione, al convergente fine della stipulazione del contratto, che va individuato ed apprezzato in relazione alla concreta fattispecie”.
Secondo la giurisprudenza, integrano ipotesi di contrasto con l’art. 1337 c.c., la violazione degli obblighi di chiarezza, di custodia e segreto, di avviso e di informazione, incombenti sulle parti.
Frequentemente la responsabilità precontrattuale si traduce nella mancata stipulazione di un contratto, o nella stipulazione di un contratto invalido; tuttavia, già da diverso tempo, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’eventuale stipulazione del contratto non ha effetto sanante, non risultando perciò idonea ad escludere la responsabilità precontrattuale.
Sotto tale aspetto, la giurisprudenza (Cass. n. 19024/2005) ha specificato come la violazione della regola posta dall’art. 1337 c.c. assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace (artt. 1338 e 1398 cod. civ.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto (come nel caso del dolo incidente ex art. 1440 cod. civ.), ragguagliando il risarcimento del danno al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal comportamento scorretto tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto “rigorosamente consequenziale e diretto”(Cass. 29 settembre 2005, n. 19024; Trib. Firenze 18 ottobre 2005).
La giurisprudenza sottolinea come i danni causati dalla violazione del disposto dell’art. 1337 c.c. siano suscettibili di risarcimento qualora siano stati posti in essere non solo con comportamenti dolosi, ma anche colposi (Cass. civ. nn.12147/2002; 9157/1995), perché la correttezza impone un dovere di riguardo e diligenza nei confronti della controparte, nella ipotesi e nella misura in cui questa faccia affidamento su ciò che le è stato dichiarato e su ciò che ragionevolmente abbia potuto arguire dal comportamento di colui con il quale è in trattative.
La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 24795 del 08/10/2008, ha consolidato tale principio sia con riferimento alla misura del danno risarcibile, sia avendo a riguardo alla possibilità di veder integrata la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede allorquando il contratto risulti concluso, valido ed efficace ma tuttavia risulti pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto.
In altri termini, quindi, la stipulazione di un contratto valido ed efficace non costituisce un limite alla proposizione di un’azione risarcitoria fondata sulla violazione della regola posta dall’art. 1337 cod. civ. o di obblighi più specifici riconducibili a detta disposizione, a condizione tuttavia che il danno trovi il suo fondamento, non già nell’inadempimento di un’obbligazione derivante dal contratto, ma nella violazione di obblighi relativi alla condotta delle parti nel corso delle trattative e prima della conclusione del contratto medesimo.
Sul quantum del danno da risarcire la giurisprudenza ha sostenuto che la responsabilità precontrattuale si limita al c.d. “interesse negativo” (vale a dire danni derivante dal pregiudizio subito dalla parte per essere stata coinvolta in trattative non giuste), da determinare in maniera equitativa. Il danno, così circoscritto, è risarcibile nelle due componenti del “danno emergente”, consistente nelle spese sostenute nel corso delle trattative per viaggi, progettazione, compensi a tecnici, eventuali assunzioni e acquisti di attrezzature, e del “lucro cessante”, che consiste nella perdita delle chance di eventuali stipulazioni con altri soggetti di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi.
Secondo una parte della dottrina l’ambito dei danni risarcibili non dovrebbe essere limitato all’interesse negativo, perché oltre al recesso ingiustificato dalle trattative o alla conclusione di un contratto non valido o inefficace, si dovrebbe ricondurre nell’alveo della responsabilità precontrattuale anche la fattispecie della conclusione di un contratto a condizioni diverse da quello che si sarebbe stipulato in assenza del comportamento in mala fede dell’altra parte. In questo caso, il risarcimento dovrebbe ristorare il pregiudizio subito per il cosiddetto “interesse differenziale”, ovvero, l’interesse a concludere un diverso contratto a diverse condizioni che consiste nel mancato guadagno conseguente alla conclusione del contratto a condizioni diverse rispetto a quelle di cui alle intese. Infatti, la conclusione del contratto non dovrebbe ostacolare al risarcimento qualora la parte possa dire “ho concluso, ma avrei concluso a condizioni diverse se l’altra parte non fosse stato sleale”.
La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 4628 del 6 marzo 2015, ha esteso la responsabilità per inadempimento contrattuale alle ipotesi di violazione delle intese raggiunte dalle parti nel corso delle trattative.
Sino a tale pronuncia, la giurisprudenza considerava la responsabilità delle parti nella fase di negoziazione antecedente la conclusione del contratto (preliminare ovvero definitivo) di natura precontrattuale, in quanto, appunto, relativa a circostanze prodromiche alla stipula di tale successivo contratto.
Con la sentenza n. 4628 del 6 marzo 2015, la Suprema Corte – dopo avere preliminarmente riconosciuto la configurabilità di procedimenti contrattuali graduali e la procedimentalizzazione delle fasi contrattuali – ha stabilito che “la violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, dà luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto”. Secondo i Giudici di Legittimità infatti, “la violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale, per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale”.
Ad ogni modo – anche nell’ambito della responsabilità precontrattuale – la parte che agisca in giudizio per il risarcimento del danno subito ha l’onere di allegare, ed occorrendo provare, oltre al danno, la condotta antigiuridica de debitore, ma non anche l’elemento soggettivo dell’autore dell’illecito, versandosi – come nel caso di responsabilità da contatto sociale, di cui costituisce una figura normativamente qualificata – in una delle ipotesi previste dall’art. 1173 cod. civ. (cfr. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 27648 del 20/12/2011, Cass. 22 gennaio 1999 n. 589, e Sez. un. 26 giugno 2007 n. 14712).