Il termine tentativo di conciliazione viene utilizzato sia nel linguaggio comune che nel linguaggio tecnico.
Quanto al linguaggio tecnico il riferimento normativo è l’art. 410 del codice di procedura civile, che recita:
Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti di lavoro può promuovere un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413 cpa.
Si tratta quindi di un atto che una delle due parti del rapporto di lavoro (lavoratore o datore di lavoro) può utilizzare, anche per il tramite dei propri difensori, nel caso si presenti una vertenza sul lavoro, con la finalità di tentare di comporla davanti ad un organo amministrativo terzo.
Ad oggi lo strumento del tentativo di conciliazione previsto dall’art. 410 del codice di procedura civile è facoltativo, e le parti possono ricorrere direttamente all’autorità giudiziaria.
Fino a qualche anno fa, invece, il tentativo di conciliazione era obbligatorio, ed era pensato dal legislatore come strumento deflattivo delle cause, in modo tale da facilitare la conciliazione invece che il giudizio in tribunale.
Il tentativo di conciliazione, tuttavia, come si è detto è diventato facoltativo, perché nei fatti non ha mai raggiunto la propria finalità.
Quello che di norma accade, infatti, è che in caso di vertenza l’avvocato del lavoro scrive alla controparte e già in questa fase è possibile avviare una negoziazione sulla vertenza, a prescindere dall’interessamento di una autorità amministrativa terza.
Quando lo spirito delle parti anima la volontà di trovare una soluzione, le parti di norma raggiungono una conciliazione in autonomia, per il tramite dei propri avvocati del lavoro, indipendentemente dallo strumento tecnico previsto dalla legge.
Quando invece le posizioni delle parti sono troppo distanti, allora di norma della vertenza viene poi interessato il tribunale del lavoro.
Ecco quindi come il tentativo di conciliazione previsto dalla legge è rimasto un istituto desueto e come però la stessa espressione è entrata a far parte del linguaggio di uso comune.
Quando un lavoratore si rivolge a un avvocato del lavoro, quest’ultimo, di norma, redige una lettera in cui vengono rivendicati dei diritti e ammonisce la controparte che in caso di mancata risposta il lavoratore si rivolgerà ad un Giudice.
Questa prima comunicazione dell’Avvocato del Lavoro di fatto apre il tentativo di conciliazione con la controparte, perché ove ci sia la comune volontà di trovare una soluzione, la controparte risponderà alla comunicazione – pur probabilmente contestando l’opposta ricostruzione – ma contatterà l’Avvocato del lavoratore per tentare, appunto, la conciliazione.
Solo laddove il tentativo di conciliazione non abbia seguito verrà coinvolto un Giudice.
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Mi chiamo Andrea Mannino e sono un avvocato specializzato in Diritto del Lavoro.
Rivolgiti a me per qualunque problema legato alla sfera lavorativa.